Di fronte ai fatti di cronaca che spesso ci spaventano abbiamo bisogno di storie in cui rifugiarci e da cui prendere slancio per affrontare i prossimi ostacoli. Se la situazione è particolarmente avversa, allora la nostra fame di storie positive aumenta e siamo grati per il servizio che i mezzi di comunicazione prestano nel farcele incontrare. Storie di piccoli eroi quotidiani senza mantelli e spade scintillanti, proprio come quelle dei piccoli-grandi Alfieri della Repubblica che quest’anno hanno colpito ancora di più l’immaginario collettivo. Per qualche giorno la stampa migliore ha messo in risalto le vicende di questi ragazzi, a volte selezionandoli con il criterio di appartenenza territoriale, altre per l’oggettiva intensità del loro vissuto. Poiché gli Alfieri “si sono distinti per l’impegno e le azioni coraggiose e solidali, e rappresentano, attraverso la loro testimonianza, il futuro e la speranza in un anno che rimarrà nella storia per i tragici eventi legati alla pandemia”, secondo le parole del Presidente Mattarella, rappresentano una chiave importante per aprire lo scrigno del futuro del Paese e dell’umanità intera. Una volta si sarebbe detto “la meglio gioventù”, in contrapposizione alla diffusa narrativa su giovani che non hanno valori, voglia di impegnarsi, fantasia nel servizio. Uno sguardo rapido alle didascalie dei 28 volti riempie invece il cuore di speranza, perché ci sarà anche domani una generazione capace non solo di reagire alla pandemia, ma anche di costruire un mondo migliore.
Che l’anno passato e non ancora concluso resti nella storia è fuor di dubbio. Pur disponendo di vaccini in quantità, e con un sacco di risorse economiche e umane destinate alla lotta contro il Covid, la ferita subita da tanti non guarirà con le medicine, perché è una ferita interiore, ha intaccato la fiducia nella vita, la speranza che domani sarà un giorno migliore di oggi. Guardare a ciò che quei ragazzi hanno fatto è davvero un balsamo per l’anima. C’è chi ha tenuto compagnia ai coetanei leggendo un libro e postando le registrazioni, e chi invece è diventato amico di penna di un anziano solo; c’è chi ha salvato l’amica perdendo una gamba e chi già senza possibilità di deambulare ha innalzato lo sguardo sui monti; chi ha collaborato con la Croce Rossa e chi ha scritto romanzi ad un’età in cui forse si leggono ancora solo i fumetti. Chissà che orgoglio nei genitori, negli insegnanti, negli amici!
Leggendo queste storie con l’animo aperto all’Infinito, viene da pensare che davvero la lotta tra luce e tenebre, tra malattia e salute, tra bene e male non potrà che risolversi positivamente (volevo dire “in positivo”, ma oggi essere positivi è abbastanza negativo…). Al termine della quaresima, e nell’anno passato credo che tutti abbiano “fatto quaresima”, non potrà che esserci la Pasqua perché esistono persone belle, brave e buone come quei giovani ragazzi, e perché il Signore ci tiene a ciascuno di loro. Da più parti si sente dire non più “andrà tutto bene”, ma “da soli non ne usciamo”, perché in tanti abbiamo capito che solo mettendo ciascuno a frutto le proprie migliori energie sarà possibile costituire una società nuova, in cui le gesta di quei ragazzi non faranno più notizia, perché saranno la norma. “Da soli non ne usciamo” come essere umano singolo e come società, poiché le ombre sono tante e ci rendiamo conto di aver necessità di quell’Unico che può portare luce, Colui che dice di sé “Io sono la luce del mondo”. Con la risurrezione, Cristo ci abilita a fare come lui, dare da mangiare a chi ha fame, aiutare a camminare chi zoppica, tenere compagnia a chi è solo e tutte le altre opere di misericordia. Gli Alfieri lo hanno incarnato, probabilmente senza rendersene conto, e ciò rende le loro azioni ancora più nobili perché spontanee, non costruite.
Andare oltre il lutto e la fatica, condividere le risorse, gioire delle gioie dell’altro, amare la vita che riceviamo giorno per giorno: sono queste le conseguenze di ricevere la linfa dal Signore della vita, che ha aperto la strada della risurrezione anche a noi. Magari non c’è un attestato di benemerenza in serbo per noi domani, ma molto di più quando passeremo la porta dell’Amore definitivo. E visto che ci riempie il cuore di entusiasmo ascoltare “quelle” storie, l’impegno delle prossime settimane potrebbe essere di non attendere la fine, ma di cominciare a fare la nostra parte da subito, perché “Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici: non importa, fa’ il bene. Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici: non importa, realizzali. Il bene che fai verrà domani dimenticato: non importa, fa’ il bene” (Madre Teresa di Calcutta).